Francesco Orlando nacque a Palermo il 2 luglio 1934 in una famiglia della borghesia, secondogenito di Camillo, di professione avvocato, nipote di Vittorio Emanuele Orlando, presidente del Consiglio, e della messinese Francesca Perroni Cervello. L’infanzia, pur serena, fu segnata dal clima della guerra (i bombardamenti su Palermo determinarono frequenti spostamenti della famiglia in una villa di campagna a Terrasini). In quei luoghi compì gli studi elementari; e nel 1943, dopo lo sbarco degli alleati, tornò a Palermo dove si iscrisse al Ginnasio dell’Istituto Gonzaga, gestito dai Gesuiti. Successivamente passò alla scuola pubblica, nel Liceo Garibaldi, in cui trovò un ambiente più consono alla sua formazione e figure importanti sia tra i compagni che tra gli insegnanti.
In questi primi anni si sviluppò in lui un precoce amore per la musica, la letteratura, il teatro. Erano frequenti serate organizzate in famiglia nel corso delle quali egli cantava e suonava il pianoforte. Ben presto l’eccezionale talento per le imitazioni rivelò un profondo senso ironico. I suoi pronunciati interessi musicali, che l’avrebbero accompagnato per tutta la vita, si incentrarono dapprima sul melodramma italiano ma si estesero subito alla grande musica tedesca (i Lieder di Schubert, in particolare, furono una sua grande predilezione). In seguito tali interessi si affinarono sempre più, culminando nella passione per Wagner ma restando sempre all’insegna di un eclettismo programmatico esibito quasi con spirito militante. All’autore dell’Anello del Nibelungo Orlando non cessò di votare un’ammirazione sconfinata, non esente da un’identificazione profonda in certi aspetti della sua figura di grande innovatore (ne faranno fede scritti di spessore metodologico come Proposte per una semantica del Leit-Motiv nell’«Anello del Nibelungo», pubblicato nel 1975, in francese, sulla rivista “Musique en jeu”, e tradotto in italiano lo stesso anno sulla “Nuova Rivista Musicale Italiana”, X (1975), 2, pp. 230-247; o come Mito e storia ne «L’Anello del Nibelungo», in Parole e musica: l’esperienza wagneriana nella cultura fra Romanticismo e Decadentismo, Firenze 1983, pp. 53-70, poi ripreso in altre sedi). Quanto alle prime letture, rese possibili dalla ricca biblioteca del padre, erano le più disparate e, più che mai in materia di letteratura, potevano risentire della perifericità dell’ambiente palermitano. La prima opera pubblicata da Orlando fu una libera traduzione in versi italiani di Hernani di Victor Hugo (Palermo 1948), mentre di qualche anno successiva fu la raccolta di poesie intitolata La Foresta è tutta del sole (Palermo 1954). Altri testi letterari giovanili, fra cui un singolare Don Giovanni scrupoloso, non furono mai pubblicati (del romanzo intitolato La doppia seduzione si dirà più oltre).
Nel 1951, conseguita la maturità liceale, Orlando si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, seguendo il solco della tradizione famigliare. Ma ottenuta la laurea quattro anni dopo, nel 1955, spinto dalla propria vocazione, passò alla Facoltà di Lettere. Frattanto, nel 1953, grazie alla mediazione del barone Pietro Sgàdari di Lo Monaco, detto Bebbuzzo, conobbe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che frequentò assiduamente fino al 1957 e di cui, sotto dettatura dell’autore, tra la primavera del 1956 e l’aprile 1957, batté a macchina una prima versione del Gattopardo.
L’incontro con il grande scrittore siciliano fu fondamentale. La personalità eccentrica e aristocratica, le sterminate conoscenze letterarie connotate da altissimo dilettantismo, l’anticonformismo intellettuale fulminante del principe di Lampedusa, lasciarono un’impronta indelebile nel giovane Orlando. Lampedusa prese a cuore la formazione letteraria di quel ragazzo molto dotato, di origini borghesi. Tra i due nacque una relazione intellettuale estremamente feconda. Alle iniziali lezioni di lingua inglese, impartite da Lampedusa al solo Orlando, seguirono, fra il 1953 e il 1955, quelle di letteratura inglese e francese rivolte a un piccolo gruppo di giovani di cui facevano parte Antonio e Beatrice Pasqualino, Gioacchino Lanza (divenuto poi figlio adottivo del principe), Francesco Agnello e qualche altro. Grazie alla frequentazione di Lampedusa e della sua casa Orlando ebbe modo di conoscere figure importanti della cultura palermitana dell’epoca, come la principessa Alessandra Wolff-Stomersee, moglie di Tomasi di Lampedusa, che era stata allieva diretta di Freud e che lo iniziò alla conoscenza della psicoanalisi; o come il poeta Lucio Piccolo, cugino dello stesso. E soprattutto ebbe modo, non senza fraintedimenti iniziali e incidenti di percorso, di interiorizzare un formidabile modello di lettura dei testi letterari a cui, sia pure nella crescente distanza cronologica e metodologica, sarebbe rimasto a lungo fedele. All’evocazione del suo rapporto con Lampedusa Orlando dedicò un prezioso libretto (Ricordo di Lampedusa, Torino 1963; ripubblicato successivamente insieme allo scritto Da distanze diverse, Torino 1996). Sull’opera del suo primo maestro, molti anni dopo, oltre ad alcune dense pagine de Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, concepì uno studio penetrante e innovativo (L’intimità e la storia. Lettura del «Gattopardo», Torino 1998, poi Paris 2014).
Nello stesso 1957 il cugino Carmelo Samonà, ispanista e scrittore, lo presentò ad Arnaldo Pizzorusso, allora docente di Letteratura francese presso l’Università di Pisa, che lo assunse quale allievo individuandone subito le qualità eccezionali. L’anno successivo un lungo soggiorno in un sanatorio lombardo causato da una malattia polmonare segnò il suo distacco definitivo, voluto quanto sofferto, da Palermo, nonché un momentaneo arresto delle sue ricerche (ma non delle sue intensissime letture). Orlando cominciò quindi il suo apprendistato di francesista laureandosi sotto la guida di Pizzorusso, con una tesi che sarebbe poi stata all’origine del suo primo libro specialistico (L’opera di Louis Ramond, Milano 1960). Tra il 1957 e il 1962 diventò prima attivissimo collaboratore poi responsabile della sezione settecentesca di recensioni della rivista “Studi francesi”. Nel 1959-60, vincitore d’un concorso di perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, poté disporre di una borsa di studio per un soggiorno a Parigi durante il quale preparò una tesi di perfezionamento che avrebbe dato luogo a un notevole contributo sul teatro barocco francese, Rotrou dalla tragicommedia alla tragedia (Torino 1963). Nel 1961 ottenne l’incarico di lettore di Lingua francese presso la Scuola Normale e a partire dall’anno accademico 1962-63, grazie all’interessamento del vice-direttore della Scuola, lo storico medievalista Arsenio Frugoni, gli fu parallelamente assegnato un incarico di Storia della letteratura francese che tenne ufficialmente per otto anni (di cui sei effettivi). A ciò si aggiunse, nel 1966 e nel 1967, la nomina a direttore dei corsi di orientamento pre-universitario organizzati a Erice dalla Scuola Normale, compito di cui conservò sempre un ricordo molto grato. Nel 1967 vinse la cattedra di Letteratura francese presso quella che, proprio anche grazie ai suoi sforzi, due anni dopo sarebbe diventata la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Pisa (e che era prima un corso di laurea della Facoltà di Economia e commercio). Gli eventi del ’68 lo videro giovane professore vicino alle posizioni del movimento studentesco, ma anche fermo difensore della necessità di garantire il funzionamento dell’istituzione universitaria nonché del diritto alla piena libertà di pensiero da parte di studenti e docenti.
Questo primo periodo pisano costituì una tappa particolarmente importante ai fini della maturazione di Orlando. La coincidenza delle prime responsabilità accademiche con gli anni della contestazione fu all’origine di grandi difficoltà, ma anche occasione, ricca di scoperte umane, per lo sviluppo d’una coscienza politica in un ambiente quanto mai diverso da quello di Palermo. In questi anni la sua fama di studioso originale e di fenomenale didatta cominciò a diffondersi tra i normalisti. Le sue lezioni e i suoi seminari segnati dalle nuove tendenze della critica europea – secondo il modello ereditato da Lampedusa potevano svolgersi anche fuori dagli orari canonici, nell’amata camera del convitto della Normale – diventarono un punto di riferimento per gli studenti, non senza suscitare peraltro anche forti resistenze, in un clima culturale ancora profondamente influenzato dal tardo crocianesimo. Le opere del periodo testimoniano di una forte inquietudine metodologica e di un tentativo di rinnovamento della strumentazione analitica attraverso suggestioni riprese dall’approccio strutturalista e dai maestri dalla critica stilistica e tematica ( in particolare E. Auerbach, J. Rousset, Ch. Mauron). Da segnalare, nella produzione di quest’epoca, il saggio costruito alla maniera auerbachiana per ‘campioni’ testuali Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici (Padova 1966, poi Pisa 2007); nonché alcune acute analisi esercitate su Stendhal, Mallarmé e Proust nelle quali la ricerca di costanti tematiche portata avanti attraverso una sistematica “scomposizione paradigmatica” – vale a dire attraverso lo smontaggio e il rimontaggio del testo secondo una logica di affinità e opposizioni fra i temi – annuncia il metodo interpretativo adottato nelle opere più mature (Il recente e l’antico nel cap. I, 18 di « Le Rouge et le Noir » pubblicato su “Belfagor” nel 1967 e ripreso in Le costanti e le varianti (Bologna 1983, pp. 135-162); Le due facce dei simboli in un poema in prosa di Mallarmé, pubblicato nel 1968 su “Strumenti critici”, pure ripreso in Le costanti e le varianti, pp. 327-370; Proust, Sainte-Beuve e la ricerca in direzione sbagliata, uscito dapprima in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini (Padova 1970, vol. I, pp. 226-250) e diventato poi saggio introduttivo al Contre Sainte-Beuve di Proust pubblicato da Einaudi nel 1974.
Nel 1970, per sfuggire alle tensioni che gli avvenimenti politici avevano prodotto nell’ambiente pisano e che lo avevano coinvolto da molto vicino, Orlando si trasferì presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli. Nella città partenopea insegnò cinque anni dopo di che, nel 1975, anche per mettere fine agli spostamenti fra Pisa e Napoli (giudicata troppo grande e caotica per stabilirvisi), accettò l’offerta di spostarsi presso la neonata Facoltà di Lettere dell’Università di Venezia, città nella quale decise di insediarsi stabilmente e dove abitò per sette anni.
Nel 1971 l’editore Einaudi pubblicò Lettura freudiana della « Phèdre », libro nato da un corso tenuto presso l’Università di Pisa a cui, in poco più d’un decennio, avrebbero fatto seguito gli altri tre studi del cosiddetto “ciclo freudiano” poi variamente rifusi, integrati e ristampati: Per una teoria freudiana della letteratura (Torino 1973); Lettura freudiana del « Misanthrope » – e due scritti teorici (Torino 1979); Illuminismo e retorica freudiana (Torino 1982). In questi lavori, alcuni dei quali ebbero risonanza internazionale (con traduzioni in vari paesi dell’Europa e negli Stati Uniti), la riflessione di Orlando si andò precisando come rigoroso metodo d’analisi testuale nell’ambito di un’originale teoria del fenomeno letterario. Al centro di tale impresa critica sta l’applicazione alla letteratura delle scoperte di Freud attuata in senso non biografico né psicologico, bensì retorico e linguistico; il rigetto del contenutismo psicoanalitico più banale e la riduzione del modello freudiano a modello “vuoto a priori di contenuti determinati”. Combinando strumenti di derivazione freudiana (a cui si sarebbe aggiunta successivamente la lezione logica – e antilogica – dello psicoanalista cileno Ignacio Matte Blanco) con concetti desunti dalla linguistica strutturale e dalla semiotica, Orlando operò un tentativo organico di comprendere il funzionamento del testo letterario quale risultato d’una serie di “formazioni di compromesso” linguistiche che ne organizzano il senso e lo realizzano tramite figure – concepite “a cavallo fra neoretorica e retorica dell’inconscio” – che travalicano la specificazione in tropi della retorica tradizionale. E ciò all’interno d’una concezione della letteratura (di derivazione solo lontanamente marcusiana) quale espressione di irriducibile resistenza all’ordine sociale e morale dominante, sede istituzionale d’un processo di “ritorno del represso” le cui manifestazioni, lungi dal rivelarsi junghianamente atemporali, si definiscono di volta in volta in rapporto a un contesto storico determinato. Tra gli altri scritti teorici più importanti del periodo si segnalano anche: l’Introduzione a S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (Torino 1975); nonché il saggio Letteratura e psicanalisi: alla ricerca dei modelli freudiani, pubblicato in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Volume IV. L’interpretazione (Torino 1985, pp. 549-587; già apparso su “Poetics”, 1984, con il titolo Freud and Literature. Eleven Ways he did it).
Nel 1982 Orlando tornò a vivere ed insegnare a Pisa, da dove non si sarebbe più allontanato. Dapprima come titolare della cattedra di Letteratura francese e poi, dal 1995, con un affidamento di Teoria della letteratura, insegnamento per la prima volta ufficialmente impartito nell’Università italiana. Soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’80, in coincidenza con la crisi generalizzata della voga strutturalista che si registra negli studi umanistici, la sua ricerca si esercitò preferibilmente su questioni incentrate sul piano dell’inventio letteraria all’interno d’un grande progetto, rimasto in larga parte incompiuto, di ripensamento dei meccanismi della creazione artistica in prospettiva freudiana e matteblanchiana. In realtà, privilegiando il reperimento, lo scandaglio e la classificazione delle immagini prodotte da un testo e delle loro relazioni, non faceva che seguire la via già praticata negli scritti degli anni ’60. Ma ricorrendo sistematicamente, ormai, a corpora dispiegati su più tradizioni nazionali e su spazi diacronici amplissimi, pose le premesse d’un rinnovamento profondo della critica tematica e ne fornì un esempio con il volume dal titolo Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura (Torino 1993 e 1994; poi New Haven & London 2006, e Paris 2010 e 2014), che suscitò un notevole interesse nel dibattito culturale italiano.
In questo lavoro monumentale lo sforzo di definizione dell’oggetto, “per non dire l’accozzaglia di oggetti”, da parte del teorico della letteratura risulta del tutto complementare alla sensibilità ermeneutica del grande lettore esercitata sui testi dell’intera tradizione occidentale, dall’Antichità al Novecento. Con Gli oggetti desueti Orlando portò a perfetta fusione l’antica lezione del suo primo maestro siciliano con la lezione di Auerbach e di Freud; la passione “dilettantesca” per la lettura con il rigore analitico e la sicurezza d’informazione dello specialista in grado di muoversi a cavallo di tradizioni ed epoche anche molto divaricate. Il libro parte dall’idea di “un’ambivalenza intrinseca al rapporto delle cose, per l’uomo, con il tempo”, il tempo che “logora o nobilita, logora e nobilita le cose” (p. 15). Ora, tale ambivalenza, assimilabile a una costante antropologica di cui Orlando ritrova freudianamente le radici nel rapporto del bambino con gli escrementi, risulta singolarmente valorizzata dalla letteratura, la quale può indugiare con grande frequenza nella rappresentazione di oggetti logori, inutili, repellenti riscattando in piacere estetico il raccappricciante o lo sgradevole. Sul piano storico, peraltro, tale indugio si intensifica, e si specifica ideologicamente, in coincidenza con l’avvento della rivoluzione industriale in Europa. Da allora, osserva Orlando, la proliferazione letteraria di immagini di oggetti “non-funzionali” costituisce una contestazione virtuale dell’ordine imposto dai criteri dell’efficienza e della funzionalità borghese, un’esibizione di “anti-merce” che rinvia ad altri modi pensabili della relazione fra gli uomini, le cose e il tempo.
Negli ultimi anni – dal 2006 liberi da impegni didattici – l’attività scientifica di Orlando si concentrò in particolare su due argomenti già oggetto di riflessioni precedenti: la tematica del soprannaturale (nel 2001, per Einaudi, era uscito il saggio Statuti del soprannaturale nella narrativa, in F. Moretti (a cura di), Il romanzo, I, La cultura del romanzo, pp. 195-226); e un progetto di ampia portata, rimasto allo stato frammentario, sul tema del “marito tradito” nella cultura occidentale. Pochi mesi prima della morte uscì la sua unica opera di finzione, La doppia seduzione (Torino 2010).
Romanzo improntato alla tradizione della narrativa psicologica francese, concepito nel 1956 e rimaneggiato fino al 1960, La doppia seduzione aveva ottenuto un lusinghiero giudizio da parte di Lampedusa. Il libro rimase a lungo nel cassetto, documento d’una vocazione artistica “rimossa” dallo studioso. Nel 1999 Orlando lo riprese, ci lavorò per dieci anni con rinnovato trasporto e si decise a pubblicarlo solo dopo numerose esitazioni. In esso il tema dell’omosessualità, affrontato attraverso il racconto d’una relazione fra due giovani dagli esiti devastanti, rinvia al più generale problema della bisessualità in senso freudiano, e l’esperienza autobiografica dell’autore – trascesa ironicamente – assurge a rappresentazione paradigmatica dell’ambivalenza irriducibile che connota il desiderio umano.
Francesco Orlando morì a Pisa il 22 giugno 2010.
A cura di Gianni Iotti
(testo già pubblicato nel Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani: volume 79, 2013)
FONTI E BIBLIOGRAFIA : Per ciò che attiene alla ricostruzione biografica, oltre al già menzionato Ricordo di Lampedusa seguito da Da distanze diverse, si rimanda al volume Ricordo di Francesco Orlando a cura di D. Ragone (Edizioni ETS, Pisa, 2012). Quanto alle opere, tutti gli scritti più importanti di Orlando sono citati qui sopra. Per un’informazione bibliografica completa, si veda la bibliografia redatta da Luciano Pellegrini e regolarmente aggiornata sul sito internet del critico (www.francesco-orlando.eu).